A far
data dal 21 marzo 2011 é divenuta operativa, nell'ordinamento italiano, la
conciliazione per le materie individuate dal d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 e dal
d.m. 18 novembre 2010, n. 480. L'obiettivo, dichiarato e, peraltro, comune alla
maggior parte degli ultimi interventi del legislatore in materia di giustizia,
è quello di creare strumenti alternativi alla risoluzione giudiziale delle
controversie, al fine di deflazionare un sistema ormai ingolfato e sicuramente
incapace di rispondere, in tempi brevi, alle istanze di tutela dei cittadini.
D'altro canto, nella moderna società, complessa, dinamica, multiforme ed in
continuo mutamento ha assunto preminente rilevanza l’interesse ad una soluzione celere, efficace
ed economica delle controversie, facendo sempre più emergere la necessità di
individuare istituti alternativi, rispetto al modello tradizionale, legato
ai provvedimenti vincolanti del giudice
o dell’arbitro, e fondati su criteri partecipativi e consensuali delle parti,
destinati al raggiungimento di un accordo tra le stesse.
Pertanto,
operando una coraggiosa svolta, il legislatore, accanto ad una più generica
facoltà di accedere alla mediazione per tutte le controversie civili e
commerciali aventi ad oggetto diritti disponibili, impone il ricorso obbligatorio,
in materia di diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di
famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, contratti assicurativi,
bancari e finanziari, responsabilità medica, diffamazione a mezzo stampa o
altro mezzo di pubblicità e, dal 20 marzo 2012, controversie condominiali e
risarcimento danni conseguente alla circolazione dei veicoli, a questo
strumento alternativo, destinato ad agevolare il rinvenimento di una soluzione
soddisfacente per tutte le parti e mirante alla
qualità delle relazioni fra i soggetti anche nel futuro.
Infatti,
questo nucleo centrale di materie, se, da un lato, costituisce un'ampia fetta
del contezioso civile in essere ed in fieri, dall'altro, esprime la volontà di
intervenire in settori giuridicamente e socialmente rilevanti, dove è
importante cercare di modificare, mantenendoli, tuttavia in vita, i precedenti
rapporti tra le parti, incrinati da un qualche evento, e ristabilendo la
reciproca fiducia.
Dunque,
il d. lgs. 28/2010 ha indicato anche la "diffamazione con il mezzo della
stampa o con altro mezzo di pubblicità" tra le materie per le quali la
mediazione è obbligatoria, fatta eccezione per i casi in cui la relativa azione
civile sia esercitata nel processo penale. Tuttavia, la delicatezza delle questioni
relative a siffatto reato, collegato alla lesione della onorabilità (e per molti aspetti anche
della privacy) di una persona, presenta profili di elevata soggettività, che
rendono, da un lato, necessario il ricorso ad una significativa attività ricostruttiva
dei fatti, dei contesti, della personalità, aprendo, così sicuri spazi per una
attività di mediazione volta a condurre le parti verso l'individuazione di un
punto di equilibrio, ma nel contempo fa emergere alcuni aspetti problematici.
In
generale, il reato di diffamazione è previsto e disciplinato dall'art. 595
c.p., il cui terzo comma prevede un aggravamento della pena per le ipotesi in
cui l'offesa alla reputazione altrui sia arrecata con il mezzo della stampa. La
ratio di tale aggravante va rinvenuta, nell'ottica del legislatore del
novecento, nella maggiore capacità lesiva della condotta incriminata, derivante
dalla maggiore diffusività del mezzo
impegnato, sia nello spazio che nel tempo, ma è destinata a fare i conti
con i più moderni e rapidi strumenti di comunicazione di massa.
Orbene,
nel caso di offesa e/o pregiudizio arrecato alla reputazione ed all'onore, si
configura non soltanto un reato, ma anche un danno aquiliano, con conseguente
diritto al relativo risarcimento. In passato, si è, però, accordata prevalenza
al profilo penalistico, segnando l'obbligatorietà dell'azione penale, alla
quale sarebbe dovuta seguire quella civile per il risarcimento. Tuttavia, la
Suprema Corte, con la sentenza n. 5259/1984, ha riconosciuto ad ogni cittadino
la facoltà di tutelare il proprio onore e la propria dignità in sede civile,
senza la necessità di avviare l'azione penale, per cui, dinanzi al fatto-reato,
la via percorribile è alternativa e la scelta spetta all'offeso. Ciò legittima,
pertanto, la scelta dell'odierno legislatore di sottoporre alla mediazione le
questioni civili legate al risarcimento del danno da diffamazione a mezzo
stampa indipendentemente dal ricorso alla tutela penale, ma, al contempo, fa
emergere tutte le difficoltà legate ai necessari presupposti penalistici delle
controversie derivanti da fatti-reato. Infatti, anche nel caso di risarcimento
in sede civile, la struttura del reato dovrà essere vagliata ed analizzata, al
fine di verificarne la sussistenza o, viceversa, al fine di valutare la
legittimità della condotta dell'agente, scriminata, perciò, dal diritto di
informazione, costituzionalmente riconosciuto. Pertanto, si dovrà accertare che
il fatto oggetto di pregiudizio non sia scriminato dal diritto di cronaca e/o
di critica e che siano violati i limiti all'esercizio del diritto medesimo, sia
interni (verità, continenza e pertinenza) che esterni (quali le ipotesi di non
punibilità).
Comunque,
indipendentemente da quelle che potrebbero essere le difficoltà di ordine
soggettivo, legate al bagaglio conoscitivo di ciascun conciliatore, in sede di
effettivo svolgimento dell'attività conciliativa si presenteranno una serie di
questioni problematiche, legate alla natura del reato, da un lato, e
all'obiettivo proposto dal meccanismo di mediazione, dall'altro. Infatti, si
tratta di una materia che presuppone il bilanciamento di contrapposti
interessi, ma di eguale rango costituzionale e di fronte ai quali la stessa
giurisprudenza della Suprema Corte ha mostrato, in più occasioni, un orientamento
altalenante, legato, peraltro, anche alla rapida evoluzione e profonda
trasformazione subita dai mezzi di comunicazione di massa.
Allora
appare legittimo chiedersi: quale sarà l'approccio della mediazione nei
confronti del rapporto tra libertà di informazione e tutela della dignità
personale? Obiettivo della media-conciliazione è il rinvenimento di un punto di
incontro, non secondo giustizia ma secondo equità, tra posizioni divergenti,
per cui si potrebbe assistere ad una sorta di livellamento degli interessi
coinvolti, tutti di rango e dignità costituzionale, ma per i quali la stessa
Costituzione, e l'interpretazione di questa nel tempo operata da dottrina e
giurisprudenza, stabilisce una sostanziale gerarchia.
Infatti,
onore e libera manifestazione di pensiero necessitano di un reciproco
bilanciamento, indispensabile per fissare i limiti di intangibilità di tutela
dell'uno e di operatività dell'altro e nella ricerca di un siffatto delicato
equilibrio, la giurisprudenza, sollecitata dagli incessanti mutamenti del
costume sociale e dal progresso della tecnologia, ha accordato ora all'uno ora
all'altra preminente tutela. Nel caso di diffusione a mezzo della stampa, così,
sub iudice, si accorda , prevalenza alla libertà di espressione, ma a
condizione che vengano rispettati quei principi (già in precedenza evidenziati)
che la Corte di Cassazione ha enumerato nel cd. Decalogo dei giornalisti, con la sentenza 18 ottobre 1984, n. 5259.
Per
quanto attiene, invece, agli altri mezzi di pubblicità (ad es. radio e televisione
ed, oggi più che mai internet), che hanno progressivamente e sostanzialmente
modificato il mondo dell'informazione e della comunicazione, la giurisprudenza
ed una parte della dottrina, si sono mostrate, in alcune occasioni, molto più
rigorose nell'obiettivo di contemperare la libertà di manifestazione del
pensiero e il diritto alla tutela della propria dignità, ponendo in evidenza le
particolari circostanze in cui il caso si è verificato e valutando le
conseguenze concrete dell'offesa, la sua
ricaduta sull'opinione o sulla stima di cui gode un soggetto in un determinato
ambiente per qualità fisiche, intellettive e professionali e la diffusione
specifica della notizia. Si tratta di profili facilmente coglibili soprattutto
in relazione alle molteplici applicazioni fornite da internet. Quest'ultimo è, senza ombra di dubbio, un efficace
strumento di comunicazione attraverso il quale può estrinsecarsi il diritto di
esprimere la propria opinione, ma la particolare diffusività dello stesso,
utilizzato per propagare il messaggio denigratorio, la circostanza che le
informazioni immesse in rete siano potenzialmente fruibili da qualsiasi utente
in ogni parte del mondo (sia pur tra coloro che abbiano gli strumenti, la
capacità tecnica e la legittimazione a connettersi, nel caso dei siti a
pagamento), indurrebbero ad individuare profili sanzionatori molto più
rigorosi.
D'altro
canto, il secondo aspetto che potrebbe presentarsi problematico è strettamente
connesso al primo ed alla testè riferita pluralità degli strumenti di
informazione e diffusione delle notizie. Pertanto, che cosa dovrà intendere il
mediatore per "stampa o altri mezzi
di pubblicità", posto che al concetto di stampa possono, in astratto,
ricondursi il giornale cartaceo, il
telegiornale e il giornale on line registrato e la locuzione mezzi di
pubblicità ricomprende oggi una variegata gamma di mezzi di diffusione? Dal
canto suo, la giurisprudenza della Suprema Corte tende a tenere distinte le
diverse forme di informazione professionale ed, in genere, si riconosce una
maggiore carica lesiva, soprattutto in relazione al danno non patrimoniale, nei
casi di diffamazione a mezzo stampa
rispetto alle altre forme di pubblicità. Diverso, invece, potrebbe essere l'orientamento
in sede di mediazione, dove la diversa finalità (e la richiesta assenza di
tecnicismo giuridico), la innovativa visione prospettica (condurre le parti ad
una naturale composizione della lite) potrebbe
portare all'attribuzione di una pari rilevanza ad ipotesi sino ad ora
giudicate in modo differente, ma viceversa avvertite dal sentire comune quali
egualmente offensive. In conseguenza, potrebbe, addirittura, ampliarsi il
novero dei soggetti ritenuti responsabili della presunta offesa e, pertanto,
del danno. Oggi, infatti, mentre, con riguardo al mezzo della stampa, accanto
alla responsabilità del giornalista/autore dell'articolo diffamatorio, può
profilarsi un responsabilità del direttore della testata, viceversa, si tende
ad escludere forme di responsabilità, sia pure indiretta, nei confronti di
soggetti diversi dall'autore del messaggio lesivo nel caso dei più moderni
strumenti di comunicazione. Infatti, la peculiarità e le particolari
caratteristiche dell'offesa arrecata elettronicamente ha condotto a non
riconoscere alcuna sorta di responsabilità a carico dell'internet provider
(colui che fornisce l'accesso alla rete), del gestore del sito, nonché del
blogger, stante l'impossibilità per costoro di realizzare un effettivo
controllo preventivo su quanto riversato nella rete, a causa della quantità dei
dati ivi immessi e trasmessi .
Anche sotto il profilo strettamente
procedurale il rapporto mediazione/diffamazione presenta alcuni caratteri
problematici, che potranno, tuttavia, trovare chiarificazione soltanto nella
fase esecutiva con l'instaurarsi di prassi più o meno consolidate. Se, infatti,
la nuova conciliazione elimina la querelle sul giudice territorialmente
competente a conoscere della controversia, non avendo il legislatore posto
alcuna regola in materia di competenza, allo stesso tempo pone questioni dalla
cui soluzione, in un senso o nell'altro, dipenderà la portata e l'estensione
dell'istituto medesimo.
Ad
esempio, l'art. 12 della l. 8 febbraio 1948, n. 47 prevede la possibilità per
la persona offesa di richiedere, oltre al risarcimento dei danni ai sensi
dell'art. 185 c.p. (comprensivo sia del danno patrimoniale sia del danno non
patrimoniale), anche una somma a titolo di riparazione, determinata in
relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato. Essa si aggiunge
e non si sostituisce al risarcimento del danno sia patrimoniale che non, è
autonomamente liquidato in favore del danneggiato, non costituisce una forma di
risarcimento del danno, né comporta una duplicazione delle voci di danno
risarcibili, ma integra una ipotesi
eccezionale di pena pecuniaria privata prevista per legge. Essa, pertanto,
non è suscettibile di applicazione analogica a casi diversi da quello per il
quale è stata espressamente prevista, ossia solo in presenza di una
diffamazione "a mezzo stampa" intesa nella sua accezione più
restrittiva di stampa quotidiana e periodica. Orbene, in questo caso, sarà
obbligatorio il preventivo tentativo di conciliazione o potrà esservi l'immediato ricorso al giudice? Se si
considera che il mediatore non può elidere il diritto di una parte di chiedere
anche l'irrogazione della pena pecuniaria privata ex art. 12 l. 47/48 e,
pertanto, non può comporre alcuna lite, allora sarebbe da preferire la seconda
soluzione, ma, se si considera l'innegabile effetto deflattivo legato alla
possibilità per lo stesso di giungere ad una determinazione concordata della
sanzione, allora si potrebbe auspicare anche la prima via.
Analoga
questione si pone, inoltre, per quanto attiene la determinazione del danno nel
caso di esercizio dell'azione civile in sede penale. Infatti, sebbene il
legislatore abbia limitato l'accesso obbligatorio alla conciliazione nel caso
di ricorso per così dire immediato al giudice civile, può accadere (e la prassi
lo dimostra) che il giudicante penale si limiti a riconoscere la responsabilità
dell'imputato, demandando ad altro giudice la determinazione effettiva del
danno. Allora non sarebbe opportuno ed auspicabile un ampliamento della portata
della littera legis ovvero l'instaurarsi di una prassi che faccia ricorso alla
conciliazione in vista di una più celere risoluzione della questione?
In
ultima analisi, appare difficile prevedere quale sarà il ruolo della
conciliazione e quali sviluppi innovativi essa porterà in un settore
estremamente delicato come quello dei mezzi di comunicazione di massa, sempre
più indirizzati alla globalizzazione ed alla creazione di forme dinamiche ed
aperte di comunicazione. Altrettanto incerto, infine, sembra sia persino il
destino della attuale normativa sull'intero tema dell'informazione, che
potrebbe risultare retrograda ed insufficiente di fronte a possibili nuovi
spunti interpretativi emergenti dalla prassi conciliativa, per definizione più
vicina al sentire comune ed alle esigenze di una società globale.
Anna La Sala
Fabio Lioy
M. Cristina Cotticelli